La creatività (III): quanto vale.

Con questo post, si conclude questo ragionamento a tre tappe. Ricapitoliamo. In estrema sintesi, la creatività è quella cosa che permette al mio messaggio di essere notato, recepito e ricordato. Dal momento che il costo media non cambia, funziona quindi come un moltiplicatore del mio investimento e lo fa fruttare. Un valore aggiunto, quindi. Ma quanto vale questo valore?

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Parlare della remunerazione di agenzia vorrebbe dire aprire un discorso complesso, legato alla stessa struttura dell’industria della comunicazione, profondamente trasformata negli ultimi quindici anni. Il concetto stesso di “servizio completo” è cambiato con l’avvento dei centri media, e non basta certo questo post a esaurirlo. Restiamo quindi alla creatività. Quanto vale, quanto costa?

Naturalmente, dipende moltissimo da chi la vende, chi la compra, dalla complessità del progetto, dall’entità dell’investimento. Ma cerchiamo di restare sui principi generali: se pago 100 il dove comunico (il media), quanto potrà valere il cosa comunico (la strategia) e il come comunico (la creatività), che come abbiamo visto è il valore aggiunto al mio messaggio? 10 sembra un ordine di grandezza sensato da cui partire, anche in tempi insensati come questi, considerando anche un 5 di costi di produzione. Attenzione: non sto qui proponendo un fee di agenzia, piuttosto una riflessione complessiva sul valore del nostro lavoro.

Una riflessione forse non inutile, dal momento che spesso si comprende il valore degli spazi media (si contano, si misurano in centimetri, in secondi, in pixel, in reach, in copertura, in frequenza) ma non il valore aggiunto dato dalla creatività. Forse perché immateriale? Il fatto che oggi molti editori lo regalino ai propri clienti insieme al costo dei media non aiuta. Al di là del giudizio di merito sul valore di questo regalo, è evidente che un regalo non è: viene semplicemente incluso nel valore dell’investimento media, che per l’impresa è più facile da comprendere e da negoziare. Un semplice riempitivo di spazi vuoti. Ma alle agenzie che vendono creatività, è sempre più difficile far comprendere e riconoscere il valore del loro prodotto: le idee. Da qui il crollo delle remunerazioni e di un sistema, e la perdita di rilevanza dei creativi nell’industria (pochissime agenzie sono oggi guidate da creativi). E, di riflesso, l’abbassamento del livello creativo della comunicazione (vedi un mio post precedente): se non riconosco il valore di qualcosa, quel qualcosa finirà per perdere realmente valore.

Nel lontano 1983, David Ogilvy scrisse, in una Lettera aperta a un cliente in cerca di un’agenzia: “Chiedete qual è la commissione richiesta. Se è il 15%, insistete per pagare il 16%. Quell’1% in più non vi ucciderà, ma raddoppierà il profitto dell’agenzia, e riceverete un servizio migliore.” (Ogilvy on Advertising, Vintage Books, 1985). Oggi fa quasi ridere. Ovvio, sono passati milioni di anni. Tutto è cambiato. Siamo in una crisi sistemica, prima ancora che economica. Ma ragionare su valori e valore è ancora possibile. E ora, pubblicità.

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