Archivi tag: marchio



C come Vorrei-Ma-Non-Posso.

Abbiamo dato appuntamento a un illustratore qui in agenzia. È la prima volta che viene a trovarci, e gli spiego che siano nel palazzo proprio accanto al Carrefour. Mi chiama disperato: il Carrefour non riesce a trovarlo. Verifichiamo il civico, è giusto. “Qui c’è solo Market!” si dispera.

Questo è quello che succede quando si guarda troppo a lungo il proprio ombelico, e non intendo quello dell’illustratore. Nella nuova insegna del nostro supermercato, il compito di rappresentare integralmente il nome Carrefour è affidato al visual del marchio. All’azienda sembra ovvio, mentre non lo è affatto. Quello che al reparto marketing leggono come “Carrefour market”, il comune passante lo legge come “(strano disegno che ricorda una freccia) Market”.

Il marchio Carrefour non è privo di fascino: per ricordare l’incrocio (quello accanto al quale sorse il primo supermercato ad Annecy, e che appunto in francese si dice carrefour) si cita la forma di un cartello stradale, con la C dell’iniziale che viene scavata in negativo e tagliata al vivo, separando lo sfondo in due parti, che ricordano un triangolo e una freccia. Un gioco graficamente elegante, che però diventa comprensibile solo se accompagnato dal logo esteso. La prova? Provate a chiedere a una decina di passanti, e non solo al nostro amico illustratore. Tutti vedono la freccia, nessuno legge la C.

Potrebbe permettersi un’identità solo visiva solo un marchio che ha lavorato dall’inizio su quella strada, come ad esempio Apple. Da anni l’icona della mela morsicata ha sostituito sui prodotti e in comunicazione il logo integrale “Apple”. Oppure lo swoosh di Nike. O per restare sul classico, il golden arch di MacDonald’s, o la conchiglia di Shell. O anche l’uccellino di Twitter (ma non sono sicuro che la brand awareness sia così universale, fuori dai millennial).

L’idea di una firma visual only è un sogno per i marchettari e per i designer. È un punto di arrivo, ma anche un lusso che non tutti possono permettersi. Bisogna pensare in termini visivi, puntare sulla semplicità e sulla sintesi in rappresentanza del tutto, lavorare per sottrazione, investire milioni e seminare, seminare, seminare. Nel caso di Carrefour mi sembra si tratti di un pizzico di presunzione un po’ transalpina. Ne riparlerei fra qualche anno, e molti milioni. E ora, pubblicità.



Vediamo, c’è tutto?

Toscana per Expo

Se mi chiedessero di progettare una caffettiera per Alessi, è probabile che declinerei l’invito. Non è il mio mestiere, e rischierei di dar vita a un oggetto che non funziona. Quando invece hanno chiesto ad Alessandro Mendini di progettare il marchio della Regione Toscana per l’Expo, lui non ha esitato e si è buttato. Il risultato, purtroppo, non funziona.

Alessandro Mendini è un fantastico ragazzo ultraottantenne, un enfant terrible che ha creato meraviglie del design italiano, da Alessi a Swatch. Il marchio che ha progettato rispecchia il suo stile ludico e irriverente, ma non funziona lo stesso. O meglio: non è un marchio, è un collage. Nel complesso anche divertente, ma irricordabile.

Un marchio nasce con la sofferenza. Deve trovare la sintesi suprema, procedere per sottrazione e non per addizione. Al contrario, come nei vecchi stemmi araldici, il marchio toscano risolve sé stesso per aggiunte, inserti, elenchi. Ci sono il fiume e la montagna, l’alloro e le olive, il vino e la musica, Pinocchio e Brunelleschi. Immagino facilmente le riunioni col cliente: “sì, ma qui manca il vino! E Collodi? Non si può non citare Collodi.” E il povero Mendini, invece di svicolarsi da quella logica descrittiva e puntare sull’astrazione pura, pazientemente prendeva nota. Mancherebbe la finocchiona, e anche un riferimento all’Isola di Giannutri. Si vede che anche l’Assessore alla fine si è accorto che era finito lo spazio. E ora, pubblicità.