You can’t manage what you can’t measure. O l’illusione del controllo assoluto.

Qualche tempo fa mi è capitato sott’occhio l’ultimo Master UPA. L’UPA è l’associazione che riunisce le maggiori imprese che investono in comunicazione, quindi praticamente l’UPA è il Cliente per definizione. E se organizza un Master, lo fa per formare le nuove generazioni del marketing.

Sulla copertina del programma del Master in Big Data High Performance spicca una frase: “You can’t manage what you can’t measure”. Non mi sfugge l’importanza dei dati in una sana attività di management, eppure credo che in quella frase sia racchiusa buona parte dell’equivoco dei nostri tempi. L’illusione del controllo assoluto.

Sarebbe come dire che non si può fare del buon sesso se non misurandosi continuamente la lunghezza del membro, o la frequenza del battito cardiaco. Come se l’istinto e la nostra naturale sensibilità non esistessero. È anzi probabile che in quel caso l’ansia da misurazione porti a una performance modesta.

Per fortuna, non tutto è riconducibile a un algoritmo. Anche nel marketing, esistono l’intuito, il buon gusto, il buon senso, il bello senza un motivo, l’argomentazione che rassicura e quella che convince. Scelte che magari costruiscono risultati e solidità sul lungo termine, ma che non sempre sono misurabili sul breve. Nessuna delle grandi campagne che hanno fatto la storia dell’advertising è nata da un numero.

Eppure questi sono oggi argomenti perdenti. Nulla suona più affascinante (e moderno), alle orecchie di un management spesso insicuro delle proprie opinioni, del dato aggiornato, del magico e rassicurante numerino. Anche perché a sua volta il management viene valutato sul breve, anzi brevissimo orizzonte. E in questa brevità, s’annega il pensiero profondo.

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