La differenza fra un capannone brutto e uno bello, in termini di costo, non è gran cosa. Ma può avere un valore incalcolabile in termini di comunicazione, soprattutto se il suddetto capannone è in un luogo esposto al passaggio. Senza contare che è tutto spazio già disponibile.
Sono su un Frecciarossa, direzione Milano, all’altezza di Parma. Dal mio finestrino vedo questo bellissimo parallelepipedo bianco, decorato in modo elegante e leggero. Lì dentro c’è qualcuno che ha capito che la facciata di una costruzione comunica a prescindere, squallore e tristezza, oppure forza e bellezza. E ha scelto le ultime. Picchiettando sul mio iPad, scopro che Flo produce bicchieri per distributori automatici. E penso che se ne avessi uno, sarei contento di comprare i miei bicchieri da Flo. La forza dell’immagine, la semplice consapevolezza che tutto è comunicazione.
Chiamerò il Signor Flo, ho la sensazione che in materia di comunicazione la pensiamo allo stesso modo. E ora, pubblicità.
bravi, bel blog e bellissima osservazione in questo post. anche alberoni una decina di anni fa aveva messo giù per corsera dei pensieri da capannoni. io, per uno degli industriali citati ci ho lavorato. e confermo che se dall’altra parte del tavolo c’è una persona che ha la malattia del capannone bello si lavora bene e vengono fuori sempre belle cose, non solo i capannoni. buon lavoro.
Grazie Giovanni, per l’apprezzamento e per la bella citazione. Buon lavoro anche a te.
trovato
“La vitalità di un Paese, di una impresa, di una famiglia si vede da quello che fa, da quello che costruisce, da quello che mostra. Lo sviluppo economico e culturale europeo dopo il Mille si è espresso con le sue stupende cattedrali. Oggi la vitalità della Cina è dimostrata dai grattacieli di Shangai, dalle sue navi portacontainer, quella della Spagna dalle sue metropolitane, quella della Francia dai suoi treni superveloci. Sono solo indicatori, solo simboli, ma più veritieri delle statistiche. Perché la gente che crea, oggettiva sempre in modo visibile il suo slancio, i suoi progetti, i suoi sogni. E, nei periodo creativi, la gente partecipa a quella creazione, la sente come propria. Negli anni Sessanta, quando vivevamo lo slancio del boom economico, abbiamo costruito in poco tempo una rete di autostrade, e tutti accorrevano a guardarle, ne erano orgogliosi. I Barilla costruivano il loro stabilimento accanto all’autostrada, anche per Parma, la loro città. In queste epoche l’uomo comune, partecipando del fervore attorno a sé, crede in se stesso, lavora, si fa una casa, un negozio, mette al mondo figli. Invece un Paese che ha perso lo slancio vitale, non fa più investimenti a lungo termine, non costruisce più autostrade, ferrovie, porti, acquedotti, centrali elettriche, dighe, università, biblioteche, grandiosi edifici pubblici o privati. Il finanziere subentra all’imprenditore. La gente diventa pigra, vive per le vacanze. Non è più orgogliosa di quello che viene realizzato nel campo dell’economia, della scienza, dell’arte, non lo sente più come proprio. Anche sul piano degli affetti di inaridisce. Dice che è depressa, tarda a sposarsi, non fa figli. I governanti fanno discorsi in cui senti che hanno perso la fede.
Il nostro Paese è già andato troppo avanti su questa strada. Ma sono convinto che siamo giunti a un punto di svolta. In Italia c’è un immenso potenziale di creatività paralizzato, c’è troppa gente che ha voglia di fare ed è frenata. Lo vedo fra i miei studenti, basta uno stimolo, una occasione, e quelli che sembravano apatici e spenti si scatenano, si mettono insieme, inventano, creano. Perciò fra poco emergeranno nuovi gruppi, nuovi imprenditori, nuovi leaders, insofferenti delle ideologie dell’inerzia e del lamento. Incominceranno a sognare, a costruire, e si ribelleranno a chi dice che non si può, a chi pone intralci, a chi vuol tenerli immobili. E alla fine, credete, vinceranno”.