Nei suoi viaggi in Italia, Stendhal sentì il dovere di presentarsi “al Signor Bodoni, il celebre tipografo” e lo trovò “per nulla fatuo, ma appassionato alla sua arte”. Nella seconda metà del ‘700, i caratteri non erano un menù a tendina nella finestra di un software, ma pezzi incisi a mano e forme studiate con nessuna altra preoccupazione se non quella estetica. I sovrani organizzano le stamperie reali, e chiamano a sovrintenderle queste nuove, raffinate figure di artisti-artigiani. Giambattista Bodoni lavora prima a Roma, dove riordina il patrimonio tipografico delle stamperie vaticane. Nel 1768 viene invitato dal Duca di Parma a impiantare la stamperia di corte. Partito dal Fournier, intorno al 1798 disegna un nuovo carattere che si libera delle decorazioni rococò per concentrarsi sulla pulizia del disegno delle lettere, caratterizzate da ascendenti spesse che contrastano con grazie sottili e orizzontali, forme equilibrate, spaziature ben dosate. Soprattutto, i suoi caratteri hanno una forte personalità, richiedono attenzione e sono lontani dall’essere trasparenti, come hanno in seguito teorizzato alcuni studiosi. All’epoca, fu una rivoluzione. L’edizione definitiva del suo Manuale Tipografico uscirà postuma nel 1818.
Il Bodoni ha una eleganza senza tempo, e a differenza di altri caratteri più recenti, sembra non invecchiare. Nelle sue variazioni più moderne (amo particolarmente il Bauer Bodoni, con le sue grazie sottili e le aste più slanciate) viene comunemente usato nella grafica contemporanea, convivendo disinvoltamente con caratteri diversissimi e colori anche accesi. È stati scelto come carattere istituzionale da importanti brand come IBM. E ora, pubblicità.