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Cosa c’entrano le tasse con la creatività?

annuncio assocom

Qualche giorno fa, su Il Sole 24 Ore è uscito un annuncio a firma di Assocom (Assocom è una delle due grandi organizzazioni che riunisce le agenzie di comunicazione). Il suo scopo era sottolineare la disparità di trattamento fiscale di un’agenzia italiana rispetto a una, mettiamo, spagnola. L’annuncio non è particolarmente creativo, ma arriva al punto: a parità di fatturato, di costi fissi e di dipendenti, un’agenzia italiana è matematicamente in perdita.

Uno di problemi è il costo del lavoro, che sta paralizzando ogni possibile mobilità nel settore; questo è un problema comune a ogni impresa italiana, anche se ne risentono maggiormente le piccole. L’altro problema è la struttura dei tributi, e soprattutto l’IRAP. L’IRAP si applica su un imponibile che permette di detrarre i costi per l’acquisto di merci, ma non quelli per le risorse umane (il costo maggiore per un’impresa che vende idee, come un’agenzia di comunicazione). Traducendosi così di fatto in un’imposta sull’occupazione, e discriminando le imprese che vendono consulenza professionale, rispetto a quelle che vendono banane (sia detto con tutto il rispetto per le banane). In soldoni, un’impresa con pochi dipendenti che compra beni materiali e li rivende, a parità di fatturato pagherà molte meno tasse di un’impresa che produce idee, e per farlo investe in risorse umane.

Cosa c’entra tutto questo con la creatività? Eccome se c’entra. Perché se i margini si riducono e scompaiono, le agenzie smetteranno di investire nelle persone, o cercheranno di risparmiare sulla loro qualità professionale (già oggi le agenzie, soprattutto quelle multinazionali, sono piene di stagisti). E la qualità media della comunicazione si abbassa (ve n’eravate accorti, eh?). Chiamiamola allora una tassa sulle idee. E ora, pubblicità.



La meraviglia delle idee.

Sapevate che da cinque o sei anni, senza rendervene conto, state contribuendo a digitalizzare il patrimonio letterario dell’umanità?

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Di recente, sono stato a una conferenza TED. Per chi non sapesse di cosa si tratta, è una intuizione che le “buone idee” possano essere messe a disposizione di tutti sulla rete, a gratis (vedi QUI). Una sorta di acceleratore di progresso, e anche un bell’ideale di condivisione del sapere. Si tratta di brevi conferenze, pillole di 18 minuti, preferibilmente in inglese (ha un’audience più ampia), che poi vengono caricate sul sito e messe a disposizione di tutti. Alcune vengono visualizzate milioni di volte, allargando alquanto il classico concetto di “conferenza”.

Ci sono stati due interventi che mi hanno davvero colpito.

Uno era di due ragazzi (un italiano e un italo-israeliano) che hanno inventato una cosa pazzesca. In pratica, un sistema operativo che sta sul chip di una schedina di plastica, funziona su qualsiasi computer, e si porta appresso tutte le vostre applicazioni e i vostri file. In aggiunta, può funzionare da badge identificativo e da sistema di pagamento. In pratica, uscite con quella card in tasca, potete attaccarla a qualunque computer (PC o anche Mac) e vedete la vostra scrivania, completa di tutto. La sfilate, e tutti i dati restano con voi. Il sistema si chiama Keepod, e ovviamente i due giovani geni hanno dovuto spostare la loro sede a Londra, perché qui per avere un pezzo di carta ci vogliono due mesi. E da lì, si accingono a conquistare il mondo.

Il secondo era un intervento (in video) di Luis von Ahn. Avete presente il “captcha”? Quei caratteri che tocca digitare quando si compila un modulo online, per evitare che un programma lo compili milioni di volte? Beh, l’ha inventato lui. Ogni giorno ne vengono fatti 200 milioni in tutto il mondo. Duecento milioni. Una media di 10 secondi a persona, e fanno un totale di 500.000 ore di tempo al giorno. Allora Luis si è chiesto: come potremmo usare tutto questo tempo in modo utile?

Da anni è in atto un processo di digitalizzazione di tutti i libri usciti in epoca pre-digitale. Lo stanno facendo Google, Wikipedia, Amazon, eccetera. Il sistema funziona, ma sui libri più vecchi i sistemi di riconoscimento hanno dei problemi, e non riescono a riconoscere le parole. Perché allora non sfruttare quelle 500 mila ore in cui il cervello umano fa qualcosa che un computer non sa ancora fare? Nella prima versione, i “captcha” erano caratteri e numeri a casaccio. Nella seconda versione “Re-captcha” (adottata da 350.000 siti, da Google a Facebook a Twitter) vengono proposte all’utente due parole di senso compiuto, una delle quali è una scansione che il computer non è riuscito a decifrare. L’altra (non sapete quale) serve come controllo, e suppone che abbiate digitato correttamente anche la prima.

recaptcha

Con questo sistema, ogni volta che vi autenticate su un sito date il vostro piccolo contributo. Ogni giorno vengono correttamente digitalizzate 100 milioni di parole, il che equivale a 2,5 milioni di libri l’anno che vengono digitalizzati a beneficio dell’umanità. Non è fantastico? La cosa straordinaria è che 750 milioni di persone hanno partecipato a questo progetto, senza neppure saperlo. Fino a oggi, le grandi imprese (dalle Piramidi in poi) hanno coinvolto al massimo 100 mila persone, per l’oggettiva impossibilità di coordinarne un numero maggiore. Oggi, con al tecnologia, si può.

Il nuovo progetto a cui sta lavorando Luis è tradurre tutto il web in tutte le maggiori lingue del mondo. Bazzecole. Ha inventato un sistema di corsi gratuiti di lingue, si chiama Duolingo, e mentre fai pratica traduci un pezzetto di contenuti del web (quotidiani, Wikipedia, etc). Se il progetto decolla, potremmo tradurre tutta Wikipedia in spagnolo in 5 settimane con 100 mila partecipanti, in 80 ore se i partecipanti arrivano a 1 milione.

Qui sotto la sua conferenza, dura 18 minuti ma è affascinante (volendo ci sono i sottotitoli in italiano). Ah, dimenticavo: Luis ha 34 anni ed è Professore di Informatica alla Carnegie Mellon University. Mettete questa storia insieme a quella dei due ragazzi di Keepod, e fate voi la morale. E ora, pubblicità.