Archivi tag: agenzie



Questione di chimica.

chemistry

In Inghilterra li chiamano chemistry meeting, e vengono considerati parte fondamentale nella selezione di una nuova agenzia di comunicazione. Qualcuno storce il naso, e li considera una perdita di tempo. Qualcun altro vorrebbe condensarli a un breve incontro di 15 minuti, per ottimizzare.

La verità è che sono forse l’unico modo di testare una interazione personale. Superficiale finché si vuole, ma comunque meno dei documenti di presentazione, e addirittura della creatività, che nel caso di una gara è stata probabilmente fatta da freelance. L’interazione fra cliente e agenzia è invece fatta, oltre che di strabilianti performance, anche di piccole e grandi emergenze quotidiane. Da cui l’importanza della chimica: quell’insieme di fattori personalissimi – simpatia, cortesia, disponibilità, carattere, stile nell’affrontare e gestire un’emergenza – che possono davvero fare la differenza. Va da sé che la chimica funziona in entrambi i sensi, anche se è difficile che un’agenzia rifiuti un cliente perché umanamente troppo indigesto (ma ogni tanto succede anche questo).

Il segreto per un buon chemistry meeting, dicono gli esperti, è lasciare briglia lunga all’agenzia, su quali e quante persone coinvolgere, e come organizzare l’agenda dell’incontro. Da come l’agenzia decide di proporsi, da come reagisce a qualche commento imprevisto, si può capire qualcosa di come sarà sentirsi al telefono, sotto pressione, sette volte al giorno, una volta che l’agenzia avrà l’incarico. Che la chimica trionfi, allora. E ora, pubblicità.



Respiro corto e fiato sul collo.

32 Boccioni - Quelli che vanno degli stati d'animo

Di questi tempi, si naviga a vista. E questo non è un segreto né per i colleghi che lavorano in altre agenzie, né per le aziende committenti. Brevissima avvertenza: quanto segue non si riferisce in particolare a Horace, né ai nostri affezionati clienti, ma vuole essere una riflessione più generale sulla nostra industry.

Fino a pochi anni fa ci si muoveva in un contesto grosso modo stabile. Esistevano dei contratti, spesso pluriennali. Le aziende non facevano gare continue, anche sui singoli progetti. Esistevano le strategie a lungo termine. Esisteva la paziente e coerente implementazione di queste strategie. Soprattutto, esisteva la fiducia. Capitava che ogni tanto un cliente prendesse il largo: gli si augurava buona fortuna, e se ne cercava un altro. Ma al di là di questi spostamenti fisiologici, agenzie e clienti lavoravano in modo diverso. C’erano tempo e risorse per mettere insieme davvero dei bei team di teste pensanti. Si ragionava, si approfondiva, si sperimentava. Si rischiava insieme, fidandosi più del proprio istinto che del cost-per-clic.

cornamusa

Oggi, questo respiro corto sta imponendo alle strutture di destrutturarsi. Lentamente, le agenzie cominciano a somigliare a cornamuse, che si gonfiano di stagisti e freelance quando c’è un progetto, e si svuotano in tempi di magra. D’altronde, quale manager assennato – di fronte a entrate incerte – non cercherebbe di trasformare i costi fissi in costi variabili?

Questo andazzo rischia di farsi davvero sentire sulla qualità del lavoro. Una delle conseguenze più percepibili è che sta scomparendo l’identità creativa delle agenzie. Quello stile riconoscibile dato da una scuola, tramandata da senior a junior, che al di là delle specificità del cliente rendeva percepibile la firma di un’agenzia, il suo marchio di fabbrica. D’altro canto, che identità si può costruire quando le agenzie non sono più guidate dai creativi che le hanno fondate, ma dai CFO delle multinazionali? E quando un’intera generazione di creativi è sparita dagli organici?

La comunicazione sta diventando industria pesante e veloce, bisogna fornire risposte complesse in tempi brevissimi, a basso rischio e a bassissimo costo. La creatività si centralizza, si standardizza e si appiattisce. Le agenzie possono investire sempre meno tempo e risorse nella ricerca, nell’approfondimento, nel pensiero. Al contrario, si destrutturano. E – destrutturandosi – perdono l’anima. E ora, pubblicità.