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La politica, senza la politica (III).

beppe grillo

Il prodotto di Beppe Grillo, politicamente e metaforicamente parlando, è un kalashnikov. Una roba che compri solo se sei veramente arrabbiato. Per sua fortuna, di gente arrabbiata ce n’è tanta, quindi c’è grande domanda del suo prodotto e lui lo vende come il pane. Grande fortuna quindi per il brand a cinque stelle e per il suo patron. Unico problema: per continuare a vendere, lui deve mantenere la sua clientela permanentemente arrabbiata. Se fosse anche solo leggermente soddisfatta di qualcosa, è probabile che non comprerebbe più il prodotto, rivolgendosi ad altri marchi elettorali.

Ora, mantenere alta la soglia dell’arrabbiatura non è difficilissimo in questo frangente, ma nemmeno facilissimo. Bisogna essere sempre in campagna, dire sempre di no, continuare a denunciare e sperare che le proprie proposte non vengano mai accettate. Se lo fossero, qualche cliente potrebbe dirsi soddisfatto, e lo share di mercato raggiunto crollare miseramente. Un marketing della tensione, che per definizione non può avere vita lunga.



La politica, senza la politica (II).

RENZI, MI CANDIDO A GUIDARE L'ITALIA DELUSI PDL VOTINO ME

Lo storico marchio PD, amato e odiato, fa parte della storia degli italiani come la Fiat e la Ferrero. Dopo una serie di riposizionamenti, renaming e rebranding ha oggi un nuovo amministratore delegato, che agli azionisti ha promesso finalmente dei dividendi. Il prodotto su cui punta Matteo Renzi è il cambiamento: le ricerche di mercato ne rilevano la forte domanda, e una colossale campagna di lancio l’ha ulteriormente rafforzata. La gente fa la fila, e bivacca sui marciapiedi come per il Day One dell’iPad. Sulla carta, sembrerebbe un successo annunciato, di dimensioni epocali. Peccato che il prodotto non sia ancora a punto. Sugli scaffali non c’è ancora, e i commessi non sanno più cosa dire ai clienti (“dovrebbe arrivare la prossima settimana”). Non solo: l’amministratore delegato sta trovando delle resistenze all’interno del CdA. È chiaro che il fattore chiave per Matteo Renzi è il tempo: deve vincere le resistenze del CdA, mettere a punto il prodotto e distribuirlo subito sui punti vendita. Il momento è adesso, la gente non resterà in fila fuori dai negozi ancora per troppo tempo. E gli azionisti vogliono risultati. Per questo la campagna di lancio continua, deve continuare, tutti i giorni su tutti i mezzi, con un investimento mediatico da far impallidire L’Oréal. Ma quanto può durare una campagna di lancio?



La politica, senza la politica (I).

È possibile fare una sintetica analisi politica, senza parlare di politica? Senza entrare cioè nel merito delle posizioni e dei giudizi, ma guardandola da un punto di vista tecnico, di marketing e di comunicazione? Voglio provarci, oggi e nei giorni a seguire.

Lega-Nord-Mario-Borghezio-condivide-opinione-Breivik
Lega Nord.
La storica linea di prodotti è stata ritirata dal commercio per colpa di grossolani errori di fabbrica (scandali interni, malfunzionamenti, etichette menzognere etc). Il brand ha oggi una immagine molto scadente nei confronti del consumatore mainstream. Il management della società ha quindi deciso di uscire dal mass market, e riposizionare il marchio. La nuova linea di prodotti sarà per palati forti, e il target sempre più di nicchia. Obiettivo del marketing è quindi quello di uscire a tutti i costi con una comunicazione cruda e provocatoria, che arriva a sostituire il prodotto stesso. Operazione aiutata da un target non troppo sofisticato, e dalle scarse risorse media, che impone un tone of voice fuori dalle righe. Per sua fortuna non esiste un giurì nella comunicazione politica, e il marchio può uscire da ogni ambiguità sulla sua vision, e attivare un comarketing con altri marchi internazionali border-line (Le Pen in Francia). La strategia è quasi obbligata, e a rischio è semmai l’alleanza commerciale con altri marchi family-oriented sul mercato italiano. Il consumatore si accorgerà di questa innaturale commistione sullo scaffale elettorale?


C’era una volta la campagna elettorale.

Adesso che le passioni e le delusioni cominciano a sedimentare. Adesso che i manifesti cominciano a essere grattati via in blocchi di colla. Adesso che è chiaro che mai come in queste elezioni la comunicazione tradizionale è stata irrilevante. Soltanto adesso, forse, è arrivato il momento di parlare di comunicazione elettorale.

La campagna di affissioni di SEL

Due settimane fa, ho fatto parte della “giuria professionale” del Galà della Politica, iniziativa di monitoraggio e valutazione della comunicazione politica svolta dal Dipartimento Filosofia Comunicazione e Spettacolo dell’ Università degli Studi di Roma Tre insieme all’Archivio degli Spot Politici. L’iniziativa è di per sé meritoria, e da qualche anno costituisce un archivio interessante della comunicazione politica italiana. Ma è davvero difficile che le categorie del premio (campagna istituzionale, campagna tematica, inno, slogan, spot) possano adattarsi a una comunicazione frammentata, trasversale e multicanale come quella che si è vista.

Per cominciare, la classica “campagna elettorale” basata sui tradizionali manifesti e spot TV è risultata quasi irrilevante. Alcuni hanno scelto di non farla affatto (come Berlusconi), puntando tutto sull’ospitalità più o meno compiacente da parte delle reti televisive del leader di turno. Quasi tutti hanno messo un piede nel digitale e nei social media (pagine Facebook e Twitter a gogò), alcuni con la naturalezza di chi lo fa da anni, altri con la rigidità di chi si affida (ma non si fida) a un consulente. I messaggi e i video autoprodotti hanno affollato la rete, sfidando ogni strategia e ogni controllo centralizzato, e generando in qualche caso contraddizioni e precipitose marce indietro. Il confronto fra idee e programmi (che tradizionalmente si combatteva anche a colpi di manifesti) è diventato in sostanza un referendum fra i leader politici, combattuto soprattutto nei salotti televisivi.

Chi ha fatto una scelta diametralmente opposta è stato Grillo, che ha sistematicamente disertato le televisioni per affidarsi a piazze telematiche e reali. Come ha osservato Umberto Eco su Repubblica questa mattina (linkerei volentieri l’intervista, se non fosse un contenuto riservato agli abbonati), Grillo ha avuto successo perché non è mai apparso in TV. Sospetto che non ci sia andato perché un giornalista gli avrebbe impedito di fare il tribuno, costringendolo forse a rispondere a qualche domanda, ma questo è un parere personale. Di fronte all’affermazione di Eco, Berlusconi inorridirebbe. Eppure, da un certo punto di vista, ha “vinto” anche lui, compiendo una rimonta impossibile. Chi ha avuto ragione quindi, Grillo o Berlusconi? Tutti e due. La risposta sta nei loro rispettivi elettorati, profondamente diversi da un punto di vista demografico, culturale e della fruizione dei media.

Una affissione del PD

Parlare quindi di “miglior campagna elettorale” appare dunque totalmente fuori luogo, e fuori tempo. Personalmente, non mi è dispiaciuta quella di SEL, che è comunque riuscita a trasmettere un’idea di freschezza, di ottimismo e di realismo (belli gli scatti non posati). Mi è piaciuto anche uno spot del PD “Il bacio”, uno dei pochissimi che propone una narrazione, una piccola storia ben costruita fondata sull’incertezza e sulla speranza. Dal punto di vista strettamente copy, ho apprezzato la Italia giusta di Bersani (là dove evidentemente quel “giusta” ha il doppio significato di “equa” e di “adatta”), e anche la Italia che sale di Monti, che richiamava la salita in politica del suo leader per suggerire un’Italia che sale nella performance, nelle classifiche e nella considerazione internazionale.

Lo slogan di Monti

Valutazioni, queste, squisitamente professionali ed evidentemente lontane anni luce dal modo in cui poi sono andate le cose. Quanto avranno influito, quindi, queste parole nella scelta degli elettori? Temo pochissimo, se non a livello inconsapevole. E poi la copy, si sa, non la legge nessuno.

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