Un discorso sulla brand identity, oggi, potrebbe facilmente partire dalla comunicazione automotive. C’è stato un tempo non lontano in cui i marchi automobilistici avevano una loro precisa identità, fatta di tono di voce prima ancora che di concetti-chiave. Sobrio e understating quello di Audi, ironico e graffiante quello di Volkswagen, allegramente popolare quello di Fiat, raffinatamente snob quello di Mercedes (memorabile lo spot in cui, dopo aver mostrato l’auto parcheggiata nel box, il protagonista ne usciva in bicicletta). Giusti o sbagliati che fossero, erano univoci.
Non solo: i grandi marchi automobilistici si sono storicamente appropriati di valori, grandi concetti-ombrello a cui tutta la loro comunicazione (e ogni singola campagna di prodotto) doveva sottostare con coerenza. “Sicurezza” era il valore strategico per Volvo (celebre la campagna istituzionale safety pin qui sopra riportata), “Affidabilità” per Volkswagen, “Sportività” per Alfa Romeo, eccetera. Questo naturalmente non voleva dire che una Volvo non potesse anche essere bella, o che un’Alfa non fosse sicura. Ma la scelta coraggiosa di un concetto, e uno soltanto, costituiva un posizionamento, e sedimentava nella mente dei consumatori.
E oggi? La sensazione è che i marchi stiano vivendo di rendita, dei frutti di quel felice periodo. Con le dovute e doverose eccezioni, l’attuale comunicazione automotive non sembra andare oltre la classica foto-tre-quarti-frontale, con il nome del modello a sostituire la headline. Una comunicazione no-concept. Col risultato che gli annunci e gli spot di auto si allineano uno affianco all’altro, deprimentemente uguali e identicamente immemorabili.
Se la comunicazione delle auto rinuncia a un’identità, è anche perché il prodotto stesso vi ha rinunciato. Le gallerie del vento hanno disegnato auto che col passare degli anni hanno finito per avere le stesse forme. E l’evoluzione delle tecnologie sta rapidamente portando all’Auto Unica, mediamente buona e totalmente globalizzata.
Resta il fatto che il marketing potrebbe ridare un’anima a questi oggetti inanimati, costruendo o rafforzando un posizionamento intorno a valori che sono l’unica difesa a lungo termine della guerra dei prezzi. D’accordo, sono tempi difficili anche per i produttori d’auto. Tempi in cui cercare di vuotare i piazzali alla svelta, con buona pace della brand identity. Ma nonostante la crisi, c’è ancora chi non sceglie un’auto guardando solo al listino. E cerca invece in un marchio un’identità in cui sentirsi a suo agio, come in un paio di scarpe comode. E ora, pubblicità.