E’ primavera, buttiamo la pasta.

Impazza in questi giorni in TV il duello fra due grandi marche di pasta: Barilla e De Cecco. Il tono di voce è diversissimo, com’è giusto che sia: emotivo – ai limiti del retorico – quello di Barilla, ironico e quasi minimalista quello di De Cecco. Belle produzioni tutti e due, non c’è che dire. Ma al di là dell’idea (la quotidianità che diventa cinema nel primo caso, il gioco sull’ingrediente segreto nel secondo), mi interessa guardare da vicino i claim. Una fissa da copy, direte voi. Sarà, ma poi è lì che si coagula l’insight della campagna, il suo concetto chiave e da ultimo il suo posizionamento.

Barilla parte da un claim storico, uno dei più memorabili dell’advertising italiano: “Dove c’è Barilla, c’è casa.” Con la campagna di quest’anno, le cose si complicano: “Dove c’è pasta, c’è amore.” (O benessere, o fantasia, a seconda del soggetto). Per poi concludere: “Dove c’è pasta, c’è Barilla.” In sintesi, un sillogismo articolato in tre varianti: se pasta = amore, benessere, fantasia, e pasta = Barilla, allora Barilla = amore, benessere e fantasia. Scavalcando proprio la pasta, e puntando dritti ai valori che interessano il brand.

Una strada agli antipodi quella che ha scelto De Cecco: puntare proprio e solo sulla pasta, senza sottintesi o valori aggiuntivi. Il claim “Il segreto di una buona pasta, è la pasta.” sembra a prima vista una banalità, ma focalizza sulla sua qualità intrinseca e cela a sua volta un segreto: quando è possibile, restare sul prodotto.

La conclusione? Barilla si appropria di un mondo (la casa), che riempie di valori “caldi” (amore, benessere e fantasia, non ricorda un po’ De Sica e la Lollobrigida?). De Cecco si appropria del prodotto stesso. A confronto, due linguaggi: la retorica contro l’ironia. E due scuole di comunicazione: il prodotto-simbolo-di-altro contro il prodotto-di-per-sé.

Quale vince? Chi lo sa. Ma dopo anni di mondi da desiderare, e di cui impossessarci attraverso prodotti materiali (jeans, amari, automobili) provo sollievo all’idea di una promessa così semplice e concreta, per giunta servita con un sorriso: comprami perché sono buona.

E ora, pubblicità.

Per Barilla: agenzia Young & Rubicam, copy Francesco Cellini, art Marco Panareo, direzione creativa di Vicky Gitto, regia di Ago Panini. Per De Cecco: agenzia STV DDB, copy Mara Mincolelli, art Gabriele Goffredo, direzione creativa di Aurelio Tortelli, regia di Luca Miniero.



La meraviglia delle idee.

Sapevate che da cinque o sei anni, senza rendervene conto, state contribuendo a digitalizzare il patrimonio letterario dell’umanità?

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Di recente, sono stato a una conferenza TED. Per chi non sapesse di cosa si tratta, è una intuizione che le “buone idee” possano essere messe a disposizione di tutti sulla rete, a gratis (vedi QUI). Una sorta di acceleratore di progresso, e anche un bell’ideale di condivisione del sapere. Si tratta di brevi conferenze, pillole di 18 minuti, preferibilmente in inglese (ha un’audience più ampia), che poi vengono caricate sul sito e messe a disposizione di tutti. Alcune vengono visualizzate milioni di volte, allargando alquanto il classico concetto di “conferenza”.

Ci sono stati due interventi che mi hanno davvero colpito.

Uno era di due ragazzi (un italiano e un italo-israeliano) che hanno inventato una cosa pazzesca. In pratica, un sistema operativo che sta sul chip di una schedina di plastica, funziona su qualsiasi computer, e si porta appresso tutte le vostre applicazioni e i vostri file. In aggiunta, può funzionare da badge identificativo e da sistema di pagamento. In pratica, uscite con quella card in tasca, potete attaccarla a qualunque computer (PC o anche Mac) e vedete la vostra scrivania, completa di tutto. La sfilate, e tutti i dati restano con voi. Il sistema si chiama Keepod, e ovviamente i due giovani geni hanno dovuto spostare la loro sede a Londra, perché qui per avere un pezzo di carta ci vogliono due mesi. E da lì, si accingono a conquistare il mondo.

Il secondo era un intervento (in video) di Luis von Ahn. Avete presente il “captcha”? Quei caratteri che tocca digitare quando si compila un modulo online, per evitare che un programma lo compili milioni di volte? Beh, l’ha inventato lui. Ogni giorno ne vengono fatti 200 milioni in tutto il mondo. Duecento milioni. Una media di 10 secondi a persona, e fanno un totale di 500.000 ore di tempo al giorno. Allora Luis si è chiesto: come potremmo usare tutto questo tempo in modo utile?

Da anni è in atto un processo di digitalizzazione di tutti i libri usciti in epoca pre-digitale. Lo stanno facendo Google, Wikipedia, Amazon, eccetera. Il sistema funziona, ma sui libri più vecchi i sistemi di riconoscimento hanno dei problemi, e non riescono a riconoscere le parole. Perché allora non sfruttare quelle 500 mila ore in cui il cervello umano fa qualcosa che un computer non sa ancora fare? Nella prima versione, i “captcha” erano caratteri e numeri a casaccio. Nella seconda versione “Re-captcha” (adottata da 350.000 siti, da Google a Facebook a Twitter) vengono proposte all’utente due parole di senso compiuto, una delle quali è una scansione che il computer non è riuscito a decifrare. L’altra (non sapete quale) serve come controllo, e suppone che abbiate digitato correttamente anche la prima.

recaptcha

Con questo sistema, ogni volta che vi autenticate su un sito date il vostro piccolo contributo. Ogni giorno vengono correttamente digitalizzate 100 milioni di parole, il che equivale a 2,5 milioni di libri l’anno che vengono digitalizzati a beneficio dell’umanità. Non è fantastico? La cosa straordinaria è che 750 milioni di persone hanno partecipato a questo progetto, senza neppure saperlo. Fino a oggi, le grandi imprese (dalle Piramidi in poi) hanno coinvolto al massimo 100 mila persone, per l’oggettiva impossibilità di coordinarne un numero maggiore. Oggi, con al tecnologia, si può.

Il nuovo progetto a cui sta lavorando Luis è tradurre tutto il web in tutte le maggiori lingue del mondo. Bazzecole. Ha inventato un sistema di corsi gratuiti di lingue, si chiama Duolingo, e mentre fai pratica traduci un pezzetto di contenuti del web (quotidiani, Wikipedia, etc). Se il progetto decolla, potremmo tradurre tutta Wikipedia in spagnolo in 5 settimane con 100 mila partecipanti, in 80 ore se i partecipanti arrivano a 1 milione.

Qui sotto la sua conferenza, dura 18 minuti ma è affascinante (volendo ci sono i sottotitoli in italiano). Ah, dimenticavo: Luis ha 34 anni ed è Professore di Informatica alla Carnegie Mellon University. Mettete questa storia insieme a quella dei due ragazzi di Keepod, e fate voi la morale. E ora, pubblicità.



C’era una volta la campagna elettorale.

Adesso che le passioni e le delusioni cominciano a sedimentare. Adesso che i manifesti cominciano a essere grattati via in blocchi di colla. Adesso che è chiaro che mai come in queste elezioni la comunicazione tradizionale è stata irrilevante. Soltanto adesso, forse, è arrivato il momento di parlare di comunicazione elettorale.

La campagna di affissioni di SEL

Due settimane fa, ho fatto parte della “giuria professionale” del Galà della Politica, iniziativa di monitoraggio e valutazione della comunicazione politica svolta dal Dipartimento Filosofia Comunicazione e Spettacolo dell’ Università degli Studi di Roma Tre insieme all’Archivio degli Spot Politici. L’iniziativa è di per sé meritoria, e da qualche anno costituisce un archivio interessante della comunicazione politica italiana. Ma è davvero difficile che le categorie del premio (campagna istituzionale, campagna tematica, inno, slogan, spot) possano adattarsi a una comunicazione frammentata, trasversale e multicanale come quella che si è vista.

Per cominciare, la classica “campagna elettorale” basata sui tradizionali manifesti e spot TV è risultata quasi irrilevante. Alcuni hanno scelto di non farla affatto (come Berlusconi), puntando tutto sull’ospitalità più o meno compiacente da parte delle reti televisive del leader di turno. Quasi tutti hanno messo un piede nel digitale e nei social media (pagine Facebook e Twitter a gogò), alcuni con la naturalezza di chi lo fa da anni, altri con la rigidità di chi si affida (ma non si fida) a un consulente. I messaggi e i video autoprodotti hanno affollato la rete, sfidando ogni strategia e ogni controllo centralizzato, e generando in qualche caso contraddizioni e precipitose marce indietro. Il confronto fra idee e programmi (che tradizionalmente si combatteva anche a colpi di manifesti) è diventato in sostanza un referendum fra i leader politici, combattuto soprattutto nei salotti televisivi.

Chi ha fatto una scelta diametralmente opposta è stato Grillo, che ha sistematicamente disertato le televisioni per affidarsi a piazze telematiche e reali. Come ha osservato Umberto Eco su Repubblica questa mattina (linkerei volentieri l’intervista, se non fosse un contenuto riservato agli abbonati), Grillo ha avuto successo perché non è mai apparso in TV. Sospetto che non ci sia andato perché un giornalista gli avrebbe impedito di fare il tribuno, costringendolo forse a rispondere a qualche domanda, ma questo è un parere personale. Di fronte all’affermazione di Eco, Berlusconi inorridirebbe. Eppure, da un certo punto di vista, ha “vinto” anche lui, compiendo una rimonta impossibile. Chi ha avuto ragione quindi, Grillo o Berlusconi? Tutti e due. La risposta sta nei loro rispettivi elettorati, profondamente diversi da un punto di vista demografico, culturale e della fruizione dei media.

Una affissione del PD

Parlare quindi di “miglior campagna elettorale” appare dunque totalmente fuori luogo, e fuori tempo. Personalmente, non mi è dispiaciuta quella di SEL, che è comunque riuscita a trasmettere un’idea di freschezza, di ottimismo e di realismo (belli gli scatti non posati). Mi è piaciuto anche uno spot del PD “Il bacio”, uno dei pochissimi che propone una narrazione, una piccola storia ben costruita fondata sull’incertezza e sulla speranza. Dal punto di vista strettamente copy, ho apprezzato la Italia giusta di Bersani (là dove evidentemente quel “giusta” ha il doppio significato di “equa” e di “adatta”), e anche la Italia che sale di Monti, che richiamava la salita in politica del suo leader per suggerire un’Italia che sale nella performance, nelle classifiche e nella considerazione internazionale.

Lo slogan di Monti

Valutazioni, queste, squisitamente professionali ed evidentemente lontane anni luce dal modo in cui poi sono andate le cose. Quanto avranno influito, quindi, queste parole nella scelta degli elettori? Temo pochissimo, se non a livello inconsapevole. E poi la copy, si sa, non la legge nessuno.

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Le sirene dell’instant marketing.

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Un mio cliente mi chiama sul cellulare una mattina. Non sono ancora in agenzia. “Hai visto?” mi fa preoccupato. “Ieri il sito ha avuto 72 visite, l’altroieri 95. Che sarà successo?” Il mio cliente è una piccola azienda che fa business-to-business, quindi si tratta comunque di numeri ragionevoli. Rispondo: “Mah, non saprei. Magari ieri sono andati a vedere i siti della concorrenza.” La sua voce si incrina: “Dici?”. Gli ho rovinato la giornata.

Per un altro cliente, abbiamo online una campagna di banner. Lo chiamo: “Hai visto? Ha un discreto impatto sulla homepage, non trovi?” “Sto studiando le statistiche – mi risponde –  Siamo sui 7.800 accessi al giorno, quindi 3.000 più del solito. Però adesso stanno calando. Non puoi chiedere all’editore se toglie il banner, e lo rimettiamo domattina sul presto? E’ l’ora in cui il nostro target si collega. Io sono qui che controllo gli accessi.”

Quello che ho chiamato “instant marketing” sta contagiando il nostro modo di lavorare, e non sempre in modo positivo. Un tempo si aspettavano con ansia gli ultimi dati Nielsen, oggi si guardano con ansia gli accessi al sito, magari in tempo reale. L’ansia non è diminuita, ma sono diminuiti i tempi. La possibilità di monitorare e controllare tutto ci rassicura, con delle belle curve, in cui a ogni azione corrisponde un effetto misurabile.

In tempi di crisi, il bisogno di certezze è comprensibile. Ma ogni speranza di un marketing meno schizofrenico, in cui ogni azione concorra a costruire pazientemente un’immagine di marca, sembra remota. Non sono tempi in cui si apprezza la pazienza, questi. Pazienza.

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Oh, no!

pillsOh, no! L’ennesimo Blog di pubblicitari incontinenti, per giunta scritto da un copywriter, che tracimerà parole che comunque non avrò mai il tempo di leggere!

È questo che avete pensato, dite la verità. Tranquilli. Questo Blog nasce con un’ambizione piccola. Come suggerisce il suo nome, quella di offrire delle pillole, dei brevi momenti di riflessione sul nostro e vostro lavoro. Roba da digerire in pochi minuti, poche righe scritte una volta alla settimana, due volte al massimo, se proprio ci scappa qualcosa di urgente da dire. Una piccola oasi protetta, al di fuori delle solite emergenze quotidiane che ben conosciamo.

Allo stesso tempo, questo Blog nasce con un’ambizione grandissima, forse al di sopra delle sue forze. Quella di costituire – nei suoi limiti – un lembo di terreno comune a noi e ai nostri clienti. A chi vive di idee, e a chi le idee le ricerca e le stimola. Un terreno su cui scambiare e costruire un pizzico di quella “cultura della comunicazione” che ci manca sempre di più, in questi tempi avari di tempo e di pensiero.

Nessuna lezione, per carità. Ma riflessioni, esperienze, opinioni su quello che si vede, si legge e si naviga. Con la possibilità, per chi lo voglia, di lasciare un parere o un semplice commento.

A rileggerci, quindi. E ora, pubblicità.