Mezzo prodotto.

mandarina

La valigia di Mandarina Duck è in vetrina, grossa e colorata, col suo logo bello grosso, stampato a rilievo nella plastica. Non a caso, il modello si chiama Logoduck. Entro, chiedo al commesso di vederla meglio. Il colore è un po’ troppo acceso per i miei gusti, ma la valigia sembra solida e ben fatta, non c’è che dire. D’altro canto, Mandarina è un marchio di qualità. Bene, concludo, ma 179 euro mi sembrano un po’ pochini. Prego?, fa il commesso stupito. Beh, viaggio spesso, grandi aeroporti e grandi stazioni, ho un bacino di visibilità abbastanza ampio. Scusi? Fa il commesso sempre più interdetto. Calcolo a spanne le migliaia di contatti potenziali che posso generare: per meno di 250 euro, non se ne fa niente. All’anno, naturalmente. Ma signore, non ha capito – balbetta il commesso – è lei che deve pagare! E improvvisamente, sono io che non capisco. Cosa dice? Un’azienda mi vuole usare come mezzo per veicolare il suo marchio, senza pagare un euro? Anzi, addirittura chiedendomi dei soldi?

abercrombie 1

Che uno dei successi del brand system sia quello di veicolare gratis il proprio marchio, non è una novità. Il diritto di firmare il proprio prodotto è sempre esistito, e Mandarina Duck non è certo la prima né l’unica a farlo. Ma con gli anni, certi brand moda sono riusciti a rendere il proprio marchio l’unica ragion d’essere. Vuitton e Gucci hanno segnato la strada, e i clienti strapagano le loro borse per potere farsi vedere coi loro marchi. Un meccanismo premiante in termini sociali, economici, di immagine. Oggi, in molti casi, il brand non è più la firma del prodotto, è il prodotto. Magliette di fattura dozzinale sono sfoggiate con orgoglio perché riportano in grande le scritte Tommy Hilfiger, o Abercrombie, oppure D&G.

Resta il dubbio della piccola provocazione all’inizio di questo post. Quando il prodotto diventa mezzo, non dovrebbe valere la metà? E ora, pubblicità.

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